Qual è la prossima frontiera della mobilità urbana? Forse non più la strada o il sottosuolo. A dar retta alle notizie degli scorsi mesi, si direbbe che siamo di fronte a una vera e propria «corsa al cielo», combattuta da grandi gruppi internazionali a suon di droni a quattro o otto eliche. A febbraio è stato annunciato che la città di Dubai si potrebbe dotare entro l’estate di una flotta di mini taxidroni. E a un programma simile sta lavorando anche la start up americana Uber, che entro il 2020 punta a introdurre veicoli volanti in diverse metropoli del mondo. La Federal Aviation Administration statunitense, del resto, ha stimato che entro l’inizio del prossi mo decennio ci potrebbero essere 1,3 milioni di droni intransito nei cieli americani. Infine, per sperimentare l’uso dei quadricotteri nella logistica, da tempo sono al lavoro aziende come Amazon e Dhl.
Davvero nel prossimo futuro i nostri cieli saranno punteggiati di droni, come nella «Metropolis» immaginata nel 1927 dall’omonimo film di Fritz Lang? Quel sogno ricorrente della nostra modernità è ormai così vicino alla realtà? Mi spiace giocare per una volta la carta del conservatore: temo che non sarà così, per almeno due ragioni.
La prima è relativa alle (inflessibili) leggi della fisica. Per mantenere a mezz’aria un oggetto dalla massa di un chilo, è necessario spostare verso il basso una grande quantità d’aria a velocità piuttosto elevata in base al principio della conservazione del momento della quantità di moto. E’ questo il motivo per cui gli elicotteri sono così rumorosi e consumano così tanto carburante. Qualcosa di simile si verificherebbe con i droni e il disturbo sarebbe difficile da sopportare in affollati contesti urbani. Già oggi gli eliporti urbani producono notevole disturbo con poche decine di atterraggi all’ora immaginiamo che cosa potrebbe succedere se questi numeri venissero moltiplicati per mille o per diecimila.
La seconda ragione è di ordine pratico: l’idea di riempire il cielo di una città di migliaia di pesanti oggetti alimentati a batteria alcuni dei quali inevitabilmente di quando in quando ci grandineranno in testa non pare del tutto accorta. Tutto questo vuol dire che non ci saranno droni nel nostro futuro? Niente affatto: i droni potranno avere ottimi utilizzi alternativi. Per esempio per trasportare oggetti leggeri in zone remote come proposto dal progetto Droneport presentato tra l’altro alla Biennale di Venezia 2016 oppure per raccogliere dati sull’ambiente, magari
in modalità partecipativa, come permette di fare l’azienda londinese FutureAerial.
E proprio l’approccio «open source» spalanca quelle che a mio avviso sono le opportunità più interessanti. Abbiamo provato a esplorarle con «Paìnt by Drone», un progetto che abbiamo messo a punto a Torino con lo studio Carlo Ratti Associati. Si tratta di un sistema con il quale un gruppo di droni, attraverso gli input dati da cittadini comuni tramite una app, può andare a dipingere graffiti e disegni sulle tanti pareti vuote delle nostre città: dai teli dei cantieri alle facciate cieche dei palazzi di periferia. E proprio a Torino insieme a Berlino stiamo organizzando le prime installazioni di questo progetto, il prossimo autunno.
In conclusione, ci potrebbero essere droni nel nostro futuro urbano. Ma non tanto per muoversi: per quello, i cari mezzi di trasporto su terra (magari robotizzati e resi autonomi come le macchine senza guidatore) resteranno probabilmente l’ambito di sperimentazione migliore, almeno nel breve termine. Grazie ai droni tuttavia potremo fare altro, e non di minor valore: trovare nuovi modi di stare insieme nel vivere la città. Una nostra polis contemporanea, più aperta e inclusiva, anche grazie alle nuove tecnologie.
[Fonte La Stampa – 03 Maggio 2017]